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La storia

La storia di Monserrato

 

La fondazione del primo nucleo abitativo risale al periodo romano. Nel medioevo noto col nome di Pauli, era compreso nel giudicato di Cagliari. Nel 1258, dopo lo smembramento del giudicato fu amministrato da funzionari pisani fino al 1324 quando a seguito della conquista aragonese fu concesso in feudo. La peste del 1348 spopolò il villaggio, nel 1366 divenne feudatario Guglielmo Canelles, che però fu osteggiato dalle truppe arborensi che lo occuparono fino al 1410. Nel 1426 il villaggio fu concesso a Dalmazio Sanjust che iniziò un'opera di risanamento che permise lo sviluppo della cittadina favorendo l'agricoltura specialmente vinicola. Dopo l'abolizione del feudalesimo, nel 1848 entrò a far parte della provincia di Cagliari divenendo comune autonomo sino al 1928, data in cui è stato accorpato al comune di Cagliari. Ha riacquistato la propria autonomia il 18 novembre 1991 dopo un referendum e mediante una legge regionale. In tale occasione, però, è passato da 1.137 ettari di territorio comunale a 650 ettari (è stato privato della piana di San Lorenzo perché una striscia di terreno del comune di Selargius ne interrompeva la continuità territoriale). Su questo tema è ancora in corso una causa legale tra il Comune di Monserrato e il Comune di Cagliari. Il significato del nome Il nome sardo Pauli o Paulli significa palude. Già nel Medioevo assunse il nome di Paùly, prima, e poi quello di Paùli Pirri. Successivamente al 1881 divenne Paùli Monserrato e dall'11 aprile 1888, con Regio decreto e per volere del Consiglio comunale, prese il nome di Monserrato, parola riconducibile alla Madonna di Montserrat (nei pressi di Barcellona).

La chiesa del SS Redentore

Anima nel vento - Tazenda
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   Merita una visita la chiesa filiale della B. Vergine di Monserrato, attorno alla quale si sono annodati secoli di storia: ha costituito il nuovo nucleo dell’insediamento umano nel Basso Medio Evo. L'esistenza della chiesa di Santa Maria de Paulis è attestata fin dal sec.XII, epoca in cui i Vittorini possedevano, alle dipendenze del priorato di S.Saturnino di Cagliari un territorio che si estendeva dalle saline di Quartu S.E. fino a Decimo e Siliqua. Nel 1183 passò nelle mani dei Vittorini. Secondo il Vitale essa venne rifondata su un antico tempio pagano (si tratta però di antiche leggende). Espulsi i Vittorini dai pisani nel 1246 da Cagliari, la chiesa di Santa Maria restò sotto la giurisdizione dei monaci fino all'arrivo degli aragonesi. Questi ultimi portarono il culto per la Vergine di Montserrat, infatti in Sardegna tutte le chiese intitolate a Santa Maria aggiunsero il titolo di Montserrat. La statua infatti regge con la destra il Bambino e con la sinistra una sega, ad indicare che si tratta della Vergine di Montserrat ossia della Vergine del Monte a forma di sega venerata in Catalogna. Il culto per la Vergine di Monserrato si sviluppò in modo così profondo nella coscienza popolare che dopo l'unità d'Italia, Pauli-Pirri divenne prima Pauli - Monserrato e poi, definitivamente , Monserrato. La chiesa ebbe diverse modifiche nei secoli che ne hanno mutato la connotazione originaria. La vecchia chiesa di forma quadrata, di blocchi calcarei, venne demolita nel 1856. La forma attuale, ha la pianta a croce greca, con cupola centrale e altre tre che coprono bracci e abside, risale alla seconda metà del sec. XIX. La facciata è timpanata, suddivisa in tre ordini orizzontali da cornici marcapiano, sicuramente è stata modificata dopo la seconda guerra mondiale. Sul lato destro, tra cappella e l'abside, è assemblata la sagrestia, mentre sul lato sinistro si staglia un campanile a vela. Nella facciata si nota il nuovo portone realizzato in bronzo dal pittore e scultore monserratino Gianni Argiolas. L'altare maggiore è un bell'esempio di raffinatezza dei marmorari, con tarsie policrome; l'espositorio marmoreo che sovrasta l'altare, imponente ma armonico, un vero gioiello dei marmorari del cagliaritano. Nella chiesa si conserva il simulacro della madonna, titolare di un cospicuo patrimonio, costituito da gioielli antichi ed ex voto in oro e in argento, testimoni di una raffinata oreficeria. Il presbiterio sopraelevato di due gradini dal piano della navata è separato da questa da una balaustra marmorea policroma; fu pianellato nel 1914, dono dei coniugi Raffaele Picciau e Francsca Anna Loddo. Nella sagrestia sono conservate le statue di San Sebastiano, di Sant'Ambrogio, di San Filippo, di Sant'Isidoro, di San Luigi Gonzaga e un'antica statua di Sant'Antonio da Padova col bambino. Nella cappella a sinistra si trova la statua di Santa Filomena, conservata in una urna di vetro. Nel 1990, presenti l'arcivescovo ausiliare di Cagliari Mons. Tarcisio Pillolla, il parroco don Mario Secci, il presidente del Consiglio di Circoscrizione Bruno Spada, l'Assessore ai Lavori Pubblici, Ambrogio Atzeni, è stato inaugurato il dipinto del braccio destro della chiesa, realizzato da Gianni Argiolas e da Augusto Loi insieme con i ragazzi di bottega. La pittura, ha il titolo La processione della B.V.di Monserrato, ed è affollata da centottanta figure, in cui sono individuabili personaggi più o meno noti della città.
La Chiesa di Santa Maria de Paulis
 La parrocchia del SS.mo Redentore fu eretta dall'arcivescovo Mons. Paolo Botto il quale, nominato primo parroco il sac. don Paolo Deiana, pose la prima pietra il 20 Febbraio 1955. L'edificio, caratterizzato da una sola navata di m. 40x15, un presbiterio di m. 6x4 ed una torre sul fianco alta circa m. 26, non offre alcun elemento di rilievo architettonico e si colloca in quelle tipologie, nate nel dopoguerra, allorché anche le chiese assunsero la fisionomia di capannoni industriali. Fu inaugurata il 29 Giugno del 1970. Oggi la comunità che gravita attorno al SS. Redentore è la più popolosa e raccoglie il nucleo più giovane della città di Monserrato, difatti, conta più di 10.000 fedeli.

La parrocchiale di San,Ambrogio è la chiesa madre di Monserrato, situata in piazza Padre Silvio Serri. La costruzione della chiesa di Sant'Ambrogio, secondo i canoni dello stile gotico catalano, risale alla seconda metà del XVI secolo. Un documento notarile che nel 1564 Don Geronimo Zapata, canonico decano della cattedrale di Cagliari e prebendato di Pauli de Pirri ( antico nome di Monserrato) , insieme ai sindaci del paese, prendeva accordi con gli scalpellini ( picapedres) Gaspare, Pierotto, Giovanni Antonio Barrai e Giovanni Vacca di Cagliari riguardo alla costruzione del Presbiterio, per cui doveva prendersi ad esempio quello della chiesa di San Pietro a Settimo. Nel 1615 venne commissionata la costruzione dei prospetti ai lati della facciata, dotati di merlatura, come doveva presentarsi anche in facciata in origine. Nel 1619 iniziò l'erezione della torre campanaria, crollata tra la fine del XVIII secolo e l'inizio del XIX . La facciata , proprio in seguito al crollo della torre, venne ricostruita nelle forme attuali. L'attuale campanile venne completato nella seconda metà del XIX secolo.

La Chiesa di Sant'Ambrogio

La parrocchia,intitolata al santo fondatore dei fratelli cristiani,è stata progettata dall'ingegner Antonio Callai.L'architettura elaborata da Callai risente di influssi d'oltralpe, in sintonia con il rinnovamento liturgico iniziato in Belgio ed in Germania. Iniziati nel 2001,i lavori sono stati ultimati nell'ottobre del 2004,con il completamento del sagrato.

L'inaugurazione è stata celebrata l'11 dicembre 2004 da Mons. Giuseppe Mani, arcivescovo di Cagliari, presente il sindaco Antonio Vacca, assessori e Consiglieri comunali. La chiesa è stata costruita su di una pianta a semicerchio, di modo che i raggi del sole convergono verso l'altare centrale, l'esterno è stato realizzato in cemento faccia a vista e sormontata da un'ampia copertura in legno di larice a forma di vela. Chi entra nell'aula si trova in un arco di 180° che ha la linea di convergenza verso un unico punto geometrico: il luogo del sacrificio. L'altare centrale reca dei bassorilievi a soggetto eucaristico, scolpiti da Angelo Casula di Barrali , su disegno dello stesso Callai.

L'edificio è corredato di sessanta vetrate, di cui quaranta pitturate e venti incise, opera della pittrice monserratina Anna Verona e dell'artista Giampaolo Serra che non distraggono il fedele, ma lo conducono alla lettura di passi testamentari. Sul transetto principale sono presenti una fonte battesimale e una penitenziera di forma cilindrica che presentano delle vetrate richiamanti le simbologie del battesimo e della penitenza.

SAN GIOVANNI BATTISTA DE LA SALLE

La Croce di Marmo ( La Cruz de Màrmol ) è posta sopra un basamento tronco-piramidale in cui si legge,inciso, l'epigrafe MESSO 1563, l'anno che segna l'inizio dei registri parrocchiali di Sant'Ambrogio, che proprio in questa data rubricò il primo battesimo dopo il Concilio di Trento. Punto di passaggio obbligato da e per Monserrato dopo l'inondazione del 27 ottobre del 1796 che provocò più di venti morti e distrusse due terzi delle abitazioni. Nel 1798 il Consiglio di Comunità decise di ricostruire il ponte sullo stagno " a filo dritto passando dalla Croce di Marmo di questa villa" dove passava la " strada maestra" ( el Camino Real ) che collegava Cagliari con Pauli Pirri , e con las villas de Partiolla, de Gerrey, Partiolla Sinnai, Septimo, Mara y Selargius. Rivolta alla piazzetta reca l'effige del Cristo, nell'altro lato la Madonna col bambino. Questa croce dalla forma gotica, poggia sopra una colonna romana monolitica,che attesta ulteriormente l'epoca imperiale di Monserrato. Ebbe la funzione giurisdizionale perchè delimitò la sfera di competenza territoriale ecclesiastica ed il jus decimarum. Il luogo che ospita la croce è denominato sa prazzixedda de sa crux'e marmuri (la piazzetta della croce di marmo).
E' dedicata al martire ucciso il 10 agosto dell'anno 258 d.C., l'edificio attuale, consacrato nel 1903, presenta una struttura architettonica elementare e priva di elementi colti. E'a pianta rettangolare, mononavata, con volta a botte percorsa da archi trasversali; il vano presbiteriale è compreso nell'abside semicircolare, coperta da un catino. Nella semplice facciata a capanna, suddivisa orizzontalmente in tre parti da cornici, si apre un loculo, dal quale riceve la luce. Sui lati corrono i contrafforti perpendicolari. Sul lato destro, adiacente all'abside, è assemblato il dado della sagrestia, mentre dal lato sinistro sono visibili per terra monoliti squadrati, materiale di spoglio, traslatovi da Monserrato, per essere utilizzato come panche. Sul medesimo lato sono visibili due bocche di cisterne, ora prosciugate, in cui si travasava l'acqua, trasportatavi con carri, per il periodo dei festeggiamenti. L'interno è spoglio. Il presbiterio, rialzato,ospita un umile altare marmoreo di mano artigianale, fatto nel 1903. L'esistenza della chiesa campestre di San Lorenzo è connessa con le vicende dei Sajust, feudatari di Pauli, per merito dei quali sale agli onori della storia feudale. Nel 1690, allorchè la villa di Pauli fu scorporata dalla Baronia di Furtei, pure dei Sanjust, per essere inglobata nella nuova contea di San Lorenzo. Pauli passò al rango di capoluogo della Contea, che comprendeva anche la villa di El Mas, popolata e di Sisali, spopolata, ed i Sanjust furono, investiti, secondo le procedure di infeudazione vigenti in Italia, "conti di San Lorenzo". Carlo II, re di Spagna, con il diploma del 20 aprile 1690 concesse il titolo di Conte di San Lorenzo a favore di Francesco Sanjust, che lo trasmise agli eredi ed ai suoi sucessori. Negli anni '60 furono sospesi i festeggiamenti della sagra campestre per le gravi lesioni che la chiesetta presentava nella facciata a timpano e nella volta a botte dell'unica navata, successivamente nel 1972 la chiesa, ormai pericolante, fu salvata dalla demolizione da un imprenditore monserratino, Mario Pili, che insieme ad un comitato pro-restauri consentì ai fedeli di ripristinare una tradizione religiosa secolare. Ora la chiesa si presenta a pianta rettangolare, mononavata, con volta a botte percorsa da archi trasversali, il vano presbiteriale è compreso nell'abside semicircolare. Sui lati corrono i contrafforti perpendicolari. L'interno è spoglio. Il presbiterio, rialzato, ospita un umile altare marmoreo di mano artigianale, costruito nel 1903.

La Chiesa campestre di San Lorenzo

San Sebastiano (scomparsa)

 

Quando, alla vigilia della festa di San Sebastiano, nei pressi della chiesetta in via Zuddas (oggi rimangono solo alcune mura, dove il comune ha costruito una piccola piazzetta), tanto tempo addietro si accendeva “Su Fogadoni de Santu Srebestianu“, che veniva benedetto dal sacerdote. Tutti partecipavano all’evento, con l’augurio nel cuore che questo fuoco benedetto portasse salute e benessere a tutti. Il giorno dopo al sorgere del sole si andava a prendere i residui delle ceneri ancora ardenti da portare a casa per riporre nei bracieri, perchè era un buon auspicio per l’anno appena iniziato.

Scomparsa di recente, restano solo pochi ruderi che hanno consentito di ricostruirne le proporzioni di chiesetta filiale. Notizie certe della sua esistenza sono reperibili negli atti della Causa Pia di Monserrato conservati presso l'Archivio Arcivescovile di Cagliari, dove risulta la spesa di 2 soldi e 10 denari pagati dal procuratore della parrocchiale e delle altre chiese, Giovanni Antonio Pichau, a tale Giovanni Maria Pichau "por accomodar la Iglesia de S.Sebastian". In un'altra annotazione, risulta che il suddetto procuratore pagò 1 soldo e 2 denari ad Ignazio Espiga per la riparazione della "y lola de San Sebastian". Infine, sempre la Causa Pia, riporta che nell'anno 1650, il già più volte citato procuratore, pagò tale Francesco Rosso, "campanero", 15 soldi per "accomodar" la campana di San Sebastiano.A partire dal 2 Luglio del 1824, la chiesa di San Sebastiano fu adibita a sede scolastica in quanto "il locale è sufficientemente comodo" secondo una relazione sulle scuole elementari della Sardegna, datata Cagliari 3 Maggio 1847, conservata presso l'Archivio di Stato di Cagliari ed ancora nel 1846, interdetta e ridotta a scuola, secondo quanto riporta una lettera conservata presso l'Archivio Arcivescovile di Cagliari, inviata dal can. prebendato della villa di Pauly-Pirry, Efisio Muscas, all' Arc. di Cagliari.Agli inizi del Novecento, la chiesetta riacquistò la sua funzione naturale in quanto l'arcivescovo di Cagliari non rilasciò più il nulla osta. Di notevole esisteva una pila per l'acqua santa corredata di dieci piccole rose, di cui 6 in rilievo, ed un bel rosone nel fondo. Vi si leggeva l'epigrafe: 1705. S. PILONI posta tra due uccelli, allusivi al cognome scolpitovi. Di questa pila, portata dalla parrocchiale di Sant'Ambrogio, non si ha più notizia.

Dal sito della pro loco di Monserrato

 San Valeriano

La chiesetta di San Valeriano, detta anche Oratorio, avrebbe dovuto assolvere alla funzione di cappella privata della famiglia Spiga, la quale la fece erigere nel terreno di sua proprietà, dirimpetto alla casa di abitazione padronale. Dopo una lunga e spinosa controversia con il parroco pro tempore dr. Raimondo Barra, la suddetta famiglia ottenne il nihil obstad dall’Ordinario Diocesano. La prima pietra fu deposta il 24 Ottobre 1906 dall’Arcivescovo di Cagliari Mons. Pietro Balestra che il 5 Maggio del 1910 consacrò la chiesa, il simulacro di San Valeriano, i paramenti, gli arredi sacri e le due campane sistemate nel campanile a vela. Al suo interno, una lapide reca incisa la seguente epigrafe: “D.O.M. SANCTO VALERIANO M. SUIS SUMPTIBUS-SACELLUM HOC RITA SERRI-VALERIANUS SPIGA-PASCHALA SERRI DICARUNT A.D. 1907” (A Dio Ottimo Massimo a San Valeriano M(artire), Rita Serri, Valeriano Spiga, Pascala Serri, a proprie spese, dedicarono questa cappella nell’anno del Signore 1907). La chiesa è caratterizzata da una semplice facciata di forma quadrangolare divisa, nella parte centrale, da una cornice ornamentale di colore bianco. Al di sotto si apre, racchiuso da una cornice, il portale d’ ingresso in legno intarsiato e di forma leggermente arcuata, mentre superiormente è posto un oculo vetrato di forma circolare. Sopra il terminale piano arricchito da una bella cornice modanata, si trova il campanile a vela sormontato da una croce, con bifora ogivale e dotato di due campane. Nell’altare di marmo si conserva il simulacro di San Valeriano. Nella chiesa è ospitato anche il simulacro di San Lorenzo che, per le celebrazioni agostane, viene traslato in processione nella chiesa campestre omonima. Vi si custodisce, inoltre, il cocchio che trasporta San Lorenzo, il quale fu commissionato e pagato da Valeriano Spiga, alla cifra di lire duemila.

TITOLO SEMPLICE

 

La chiesa di San Filippo  (scomparsa)

 

La chiesa di San Filippo è scomparsa. Ignota l'ubicazione. L'Anonimo del 1916 suppone che nella stessa piazza della chiesa della Beata Maria Vergine fosse ubicata la chiesa di San Filippo. La sua esistenza storica è provata dagli atti della Causa Pia di Monserrato dove si legge che nel 1622 il procuratore della chiesa parrocchiale di Sant'Ambrogio e delle altre chiese, certo Antonio Cadoni, nella partita di scarico annota di aver pagato soldi 10 al muratore per"aver addobbato e incalcinato 5 cappelle e aver addobbato tutta la teulada di San Filippo". Nel 1650 il procuratore della parrocchiale e delle chiese, certo Giovanni Antonio Pichau dichiara di aver corrisposto a Giovanni Maria Pichau soldi 3, denari 6 per "accomodar la chiesa di San Filippo".
Nel 1846 era certamente in piedi perché il canonico prebendato della villa di Pauli - Pirri, can. Efisio Muscas, afferma che "nella chiesetta filiale di San Filippo anticamente si celebravano le feste". Nella sacrestia della chiesa della Madonna di Monserrato si conserva, tra le altre, una piccola, antica statuetta lignea che attesta il culto per questo Santo.

 

dal sito Web della pro loco di Monserrato

TITOLO SEMPLICE

La storia dell'aeroporto di Monserrato

 

Nel 1919 per iniziare in via sperimentale il servizio aeropostale giornaliero in Sardegna, il Ministero della guerra allestì i primi campi d'aviazione a Cagliari-Monserrato, a Borore e a Sassari.

La Squadriglia Sperimentale prevedeva di operare con una ventina di aerei Caudron monomotori e SAML S-2, provenienti da reparti sciolti dopo l'attività bellica, suddivisi equamente tra Monserrato e Sassari. Il 28 luglio si tentò un primo collegamento con Borore. Il tenente Reggiani col sergente Travaglini decollarono alle 8 da Monserrato sul SAML S-2, e un'ora e sei minuti dopo atterrarono a Borore.

 

Il 16 agosto il trasferimento da Monserrato venne affidato al tenente pilota Guido Fabbri e al sergente Marzocco, che raggiunsero Borore con due Saml S-2. Qui attesero i due velivoli postali partiti da Sassari e da Terranova (Olbia), dai quali trasbordarono i sacchi di posta sui loro velivoli e li trasportarono a Monserrato.

 

Il contenuto era per il momento limitato alle corrispondenze private e ufficiali, fino a un massimo di 70 kg. Nei giorni successivi iniziò il trasporto della corrispondenza anche da Monserrato verso il nord dell'Isola.

Il servizio parve funzionare e convinse le Poste a disporre un orario preciso fin dal 21 agosto.

Nei giorni successivi il programma proseguì regolare, ma il 27 agosto un suo aereo rimase coinvolto in un incidente. Il SAML S-2 pilotato dal tenente Fabbri, con a bordo il capitano pilota Presti, si era appena alzato in volo da Borore, per un volo postale con l'aeroporto di Monserrato, quando a 80 metri di altezza l'aereo fu investito da una violenta raffica di vento.

Il pilota effettuò un rovinoso atterraggio e venne estratto dai rottami dell'aereo gravemente ferito e in stato di semi-incoscienza, mentre il capitano Presti rimase praticamente incolume.

L'incidente ritardò l'inaugurazione del campo di Monserrato al giorno 20 settembre. Furono in quell'occasione introdotti voli a pagamento sull'aeroporto, su Cagliari o sulla tratta Monserrato-Borore-Sassari.

Il costo venne fissato in 50 lire per un volo sulla città e dintorni e 1,20 lire a chilometro per un volo fra gli aeroporti, non alla portata di tutte le tasche.

1937: Col benestare del Comando aeronautica della Sardegna, a Monserrato un gruppo di appassionati del volo (nella foto a sinistra), i sigg.Vittorio Minio Paluello, Marino Cao, Aldo Costa ed altri, danno vita ad una scuola di volo civile, che, dopo pochi mesi, conta oltre 200 iscritti e numerosi brevetti già assegnati.

Nel 1938 diventerà scuola di volo della RUNA (Regia Unione Nazionale Aeronautica).

 

All'epoca, nell'aeroporto di Monserrato c'erano solo quattro capannoni, costruiti in legno, che fungevano da alloggi, cucina, ufficio logistico e officina e non c'erano ancora dei veri e propri hangar.

 

L'estensione, partendo dall'odierna via C. Cabras, arrivava fino a costeggiare l'attuale viale Marconi, mentre i bunker (o "casematte"), erano due, ancora oggi visibili nei pressi dell'hangar della Guardia forestale.

 

Nel maggio 1940 il Comando aeronautica della Sardegna aveva disposto il trasferimento della Scuola di volo a Borore, dato che il conflitto era alle porte e il campo di Monserrato era stato assegnato ai caccia che avrebbero fatto da scorta ai bombardieri nelle azioni sul mediterraneo.

 

Dall'aeroporto di Monserrato si operò contro i convogli delle forze alleate che attraverso lo stretto di Gibilterra, entravano nel Mediterraneo per dirigersi verso il Nord Africa o verso l'isola di Malta.

 

Col passare dei mesi la RUNA incontrò gravi difficoltà: l'inesorabile diminuzione degli iscritti fece mancare i necessari introiti e l'aumento del costo del carburante gravò non poco sul bilancio.

 

Dal 1942 in poi, la storia della RUNA e dei suoi velivoli si perde nell'infuriare della guerra aerea sull'Isola.

Diversi suoi aerei saranno distrutti a terra in altri aeroporti durante i bombardamenti.

Alcuni suoi piloti arruolatisi nel frattempo nelle fila della Regia aeronautica perderanno la vita nei reparti di prima linea.

Il 31 marzo 1943, 18 "Fortezze volanti" B17 bombardano pesantemente l'aeroporto causando la morte di 41 persone. Il 20 luglio 1943 una grossa formazione di P40 americani attaccò di sorpresa l'aeroporto di Monserrato; sotto l'attacco degli alleati, due C 205 decollarono per contrastare gli incursori; il velivolo pilotato dal sergente maggiore Angelo Cern fu centrato in pieno e si schiantò dopo pochi minuti sulla pista dell'aeroporto su cui aveva tentato di atterrare; il pilota morì sul colpo.

 

Il 22 Il 51° perse il capitano Paolo Damiani, il maresciallo Virginio Pongiluppi, il sottotenente Redendo Bordotti ed il sergente Ferruccio Serafini.

Quest'ultimo, finite le munizioni, si lanciò con il velivolo contro un P40 trovando così la morte.

Il giorno 23 morì il sottotenente Bruno Cortini e il 26 il sottotenente Angelo Bortoletti, il 2 agosto fu abbattuto durante un combattimento il maresciallo Pietro Bianchi.

 

Nel Novembre del 1943 si iniziò a preparare il campo per l'arrivo degli americani rifacendo una nuova pista con segnaletiche delle vie di rullaggio e costruendo un hangar.

"...la pista era fatta di una miscela di cemento e conchiglie frantumate, e durante la fase di atterraggio di un P38, l'attrito con le conchiglie sfaldate, rompendo il carrello, provocò il ribaltamento e la morte del pilota Russell E. Williams". - Charles L. Hoffman, Lockheed P-38 Lightning USAAF pilot.

 

Il 15 aprile 1947, nell'aeroporto di Monserrato entra in servizio la prima compagnia aerea italiana del dopoguerra: l'"AIRONE" COMPAGNIA TRASPORTI AEREI, dal nome dei volatili che all'epoca popolavano la stagno di Molentargius.

I promotori del progetto furono i sigg. Vittorio Minio Paluello, già direttore delle saline Contivecchi appassionato aviatore; Marino Cao, industriale del legno, Andrea Borghesan e Sante Boscaro, tutti aviatori dell'Aero Club. E ancora: Mario Azzera, Sebastiano Pani, Enrico Pernis e Giorgio Sisini, il fondatore della rivista "La Settimana Enigmistica". Data l'impossibilità di acquistare velivoli dall'Inghilterra (De Havilland ad otto posti) perché troppo costosi, la scelta cadde sui Fiat G-12 L, ma anche questi aerei si rivelarono dispendiosi in quanto a consumi e furono sostituiti dai più economici motori americani della Pratt&Withney.

 

Già da qualche tempo prima, la compagnia aerea aveva ricevuto una comunicazione dal ministero dell'Aviazione civile secondo la quale la concessione della linea Cagliari-Roma dovesse intendersi come Cagliari-Alghero-Roma.

 

Con tutta evidenza, il provvedimento fu adottato per evitare la concorrenza della Lai, (Linee Aeree Italiane, fusa nel'57 con Alitalia), cui era stata assegnata la medesima tratta diretta.

 

Le conseguenze furono: tempi di percorrenza più lunghi, maggiori consumi, nonché ulteriori costi per lo scalo di Alghero. Per la cronaca, il 25 gennaio 1953, il volo Cagliari-Roma, operato dalla LAI con un Douglas DC-3 marche I-LAIL precipita nei pressi di Sinnai (CA) provocando la morte di tutte le 19 persone a bordo.

 

Malgrado tutto questo, alla fine del primo anno, l'Airone aveva trasportato oltre 12 mila passeggeri senza il minimo inconveniente. Il servizio era iniziato "ereditando" i passeggeri dei "corrieri militari", ai quali si chiedeva il passaggio da e per l'isola. La flotta era costituita, da quattro Fiat G 12 da 20 posti, acquistati dalla fabbrica torinese ed immatricolati con le siglie I-AIRE "Barbagia", I-AIRO "Logudoro", I-AIRN "Gallura" e I-SASS, che collegavano adesso il capoluogo sardo con Roma in 90 minuti e con Milano in 180 minuti.

 

L'attività dell'Airone proseguì ancora per qualche anno con risultati economicamente poco soddisfacenti e alla fine del 1949, per evitare ulteriori guai, confluì nella nuova compagnia denominata Ali Flotte Riunite.

Così ebbe termine il coraggioso progetto nato cinque anni prima nell'aeroporto di Monserrato.

 

 

Le alluvioni a Monserrato

Nella storia sono state numerose le alluvioni che hanno colpito Monserrato fin dai tempi più remoti.

 

Quelle più ricordate e citate nei documenti di archivio e riportate nei libri su Monserrato di Mario Vincis e Serafino Agus sono quelle del 1796, del 1855, del 1867 e 1868, del 1881, del 1889, del 1 settembre del 1939, del 1946, del 22 gennaio del 1957 e infine quella più recente dell'11 novembre del 2002 che ha causato allagamenti in diverse zone della nostra città, come Su Tremini, l'area di Via Cesare Cabras, l'area di Via Giosso e tutta quella parte bassa di via Riu Mortu.

 

Una cosa che mi aveva molto colpito alla fine di Dicembre del 2008, quando ancora facevamo i conti con gli effetti dell'alluvione che aveva colpito Monserrato, è stato leggere nel sito internet dell'Ordine dei geologi della Sardegna, nel link che fa la ricostruzione storica delle alluvioni nel cagliaritano, diverse imprecisioni. La prima imprecisione od omissione che è che tra le alluvioni del 1796 manca completamente quella accaduta a Pauli.

 

Poiché è scritto di due alluvioni a Pirri del 5 ottobre del 1796 con 6 morti e del 27 ottobre con la notazione "inondazione a Pirri e nelle campagne circostanti" e poi nel 1797 con la nota " inondazione a Pirri senza gravi conseguenze". Mi era venuto da pensare che sicuramente hanno sovrapposto Pirri a Pauli, oppure, ancora più grave che ignorassero che l'inondazione di Pauli iniziata la notte del 27 e proseguita nella giornata del 28 di ottobre del 1796 provocò 21 morti, la distruzione di case di abitazione, di attrezzature agricole, la perdita di botti piene di vino trasportate dalla corrente, la morte e la distruzione di animali che costituivano mandrie e greggi, l'allagamento e l'inutilizzabilità per almeno un anno delle terre coltivate e dei vigneti de " su saltu de Pauli.

 

A fine 2012 mentre avviavo la raccolta dei materiali e iniziavo la scrittura di queste note, riandando a quel sito per avere conforto su altre informazioni utili per stendere questa nota, ho avuto conferma delle incongruenze delle informazioni perché in quella ricostruzione storica si fa confusione anche su alluvioni successive di Monserrato, come quella del 1856 che ha investito l'area cagliaritana e nella cui ricostruzione si usa per eventi accaduti a Quartucciu la descrizione della stessa dinamica presente sia nel libro di Mario Vincis sia nel libro di Serafino Agus per descrivere l'alluvione di Pauli del 1881, quella che fu definita "il diluvio di San Simone".

 

All'inizio del 2013, consultando l'archivio storico del Comune di Pauly Pirri, che è custodito presso l'Archivio storico del Comune di Cagliari nei nuovi locali del MEM all'interno del vecchio mercato di via Pola, credo di aver scoperto del perché della confusione dell'Ordine dei geologi. In effetti la parte di archivio storico del Comune di Pauly Pirri che contiene anche le delibere del Consiglio di Comunità del nostro paese degli anni che vanno dal 1790 al 1810 e che quindi comprendono anche le delibere sull'alluvione del 27-28 ottobre del 1796, è inopinatamente inserita all'interno di una cartella intestata al "Comune di Pirri". Da qui è probabile che potrebbe essere nato l'equivoco.

 

Il "Diluvio" del 28 ottobre del 1796

Riandando alla alluvione della notte del 27 ottobre e della successiva mattina del 28 ottobre del 1796 è stato rilevato che le prime avvisaglie si avvertirono nella primavera dello stesso anno con un primo nubifragio che causò anche allagamenti anche se le conseguenze evidentemente non furono rilevanti altrimenti oltre a farne cenno gli studiosi e i ricercatori avrebbero elencato i danni prodotti. L'altra avvisaglia del "diluvio" che si sarebbe verificato una ventina di giorni dopo si ebbe il 5 ottobre una pioggia violentissima che aveva allagato completamente i vigneti della campagna e fatto saltare la vendemmia mettendo in ginocchio gli agricoltori e i contadini che coltivavano la vite per la produzione del vino. Quella inondazione del 5 di ottobre che investì Pauli e Pirri ed altri centri vicini provocò 6 morti, registrati nella ricostruzione storica dell'ordine dei geologi che ho già citato, e che vengono attribuiti come morti a Pirri. E' una ricerca da approfondire per verificare se effettivamente sono morti a Pirri o a Pauly.

 

Ma quello che arrivò a Pauly tra la notte del 27 e la mattina del 28 ottobre fu una vera catastrofe umana e materiale che colpì a morte la popolazione di Pauli e mise in ginocchio la sua economia per molto tempo. Pauli in quel periodo poteva avere una popolazione di circa 1.500 abitanti, viveva di agricoltura, allevamento e si stava avviando una espansione della viticoltura.

 

Era un borgo agricolo con case costruite prevalentemente in ladiri, anche se c'erano quelle edificate con un ladiri ( o ladini come diciamo noi) qualitativamente "robusto" e quelle edificate con un ladiri "povero", e queste sono le abitazioni dei contadini e dei braccianti che si sono letteralmente sbriciolate con l'arrivo de "S'unda manna", come sarebbe stata chiamata quel tipo di alluvione a Pauly.

 

La dinamica dell'alluvione anche allora, come le volte successive, compresa quella del 22 ottobre del 2008 e che l'onda di piena era arrivata da nord. Era arrivata da Pizz'è pranu e attraversò "Su Riu" o "s'arriu" ( il Rio dove oggi è Via del Redentore, anticamente chiamata "sa bia de su riu") che passava nel paese e lo divideva in due, straripando.

 

L'onda di piena d'acqua, che al suo passaggio si alimentava ed ingrossava di detriti e del fango eroso dalle abitazioni costruite con fango, mota e paglia,prosegue la sua corsa verso il sud del borgo fino allo stagno di Pauli, invadendo le abitazioni già semicollassate, con i tetti sfondati ed erose dalla pioggia intensissima ed incessante che nella notte non aveva smesso di cadere neanche per pochi minuti. L'onda di piena così composta nel suo cammino va seminando morte, distruggendo e portandosi via mobili e attrezzature agricole, le botti piene di vino che si aprivano e il vino si confondeva e dava colore all'acqua fangosa. Centinaia di animali di allevamento e domestici che fornivano latte e carne per il sostentamento della popolazione annegavano e finivano nello stagno ( in su stani de Pauli).

 

I paulesi piangevano i molti morti e piangevano per la loro drammatica condizione per il disastro indescrivibile che furono costretti a vedere e a vivere! Quella tarda mattinata del 28 ottobre con il cessare della pioggia videro solo un grande lago intasato di acqua, fango e detriti, di animali morti e una prospettiva a breve di miseria e di fame.

 

Subito dopo, l'8 di Novembre si tiene la riunione del Consiglio di Comunità in una situazione drammatica dopo 10 giorni dalla grande inondazione del 28 ottobre che, come abbiamo visto in precedenza, ha causato 21 morti , case distrutte, animali morti, botti e vino finiti nello stagno, strade inagibili ecc. La riunione del Consiglio di Comunità si tiene nella casa del sindaco Giuseppe Antonio Atzeny e fu adottata una risoluzione per chiedere con una istanza ( supplica) al Vice Re ed alla contessa di Sanjust per una moratoria del pagamento dei tributi.

 

La riunione del "Consiglio comunitativo", come riporta la delibera che è scritta in spagnolo castigliano, come tutti gli atti fino al 1810 circa: " si tiene nella casa del sindaco Joseph Anton Atzeny e le persone che partecipano come Consiglieri sono: Juan Deidda, Ramon Fanty, Efhis Piroddi, Antiogo Maxia, Ramon Pichau e Antonio Sedda. Alla riunione come "dopiado el Consejo" ( un consiglio raddoppiato per l'eccezionalità della situazione n.d.r.) partecipano: Andreas Pichau, Antioco Ignacio Pichau, Raffael Argiolas de Sisiny, Francisco Serry grande, Salvador Argiolas di Ignacio, Ramon Spiga Cabras, Antioco Sollay e come maggior di giustizia Pasqual Sollay.

 

Nella Delibera si fa un riepilogo dell'alluvione:

"el diluvio de la noche del dia 27" e il proseguimento "al dia 28" dello "stesso mese di Ottobre dello stesso anno 1796" che ha causato "mas de viente personas muertas", distrutto le case ( las casas) e "les ha quizado quanto dentro de las memas tenian de robas, trigo, derrada anas, y mas promitas……." E poi prosegue indicando i "dan^os" : animali morti ( los bueyis e otros animal y…..vino e los cupones ecc.) La Delibera si conclude con una supplica e con la richiesta di una grazia per la esenzione dal pagamento dei tributi e l'esenzione del pagamento del donativo e della Guardia marittima.

 

Nella parte finale compaiono i nomi e le firme.

 

Appongono la croce a fianco al proprio nome: il sindaco Joseph Antonio Atzeni, Juan Deidda cons., Ramon Fanty cons., Efis Piroddi cons. e Antiogo Maxia cons. mentre firmano di proprio pugno i consiglieri del Consiglio raddoppiato: Antiogo Ignacio Pichau, Rafael Argiolas, Andres Pichau, Francisco Serry grande, Saluador Argiolas, Ramon Spiga Cabras, Antiogo Sollay e Pasqual Sollay major de justicia".

 

Solo nel 1798 fu fatto un bilancio definito e preciso dei danni. Lo si desume dal verbale di una riunione del Consiglio di Comunità del 16 maggio del 1798 tenuta nella abitazione del sindaco Efhis Piroddi.

Dalla lettura dei nomi in calce al verbale risulta che oltre al sindaco Piroddi parteciparono al Consiglio i Consiglieri Antonio Ignazio Cabras, Giovanni Deidda, Joachin Cabras, Lucas Serry, Antony Lochy, Luis Fanny. Tra i partecipanti figuravano anche e sono i primi firmatari del Verbale Francisco Arì, Regio Misurador, Miguel Piras Vicario parroquial e Domingo De Plano, Delegato Parroquial, il Censore locale Andrea Lochy. L'atto è firmato dal segretario Joseph Antonio Tocco.

 

Nel verbale è ricostruita la dinamica dell'alluvione con la descrizione dell'arrivo dell'onda di piena che "viene de lugar que se dise Pizu de Pranu y Baculada territorios de Partiolla, de Gerrey, de Septimo y de Selarjius quando viene causa muchos perjuluis y danos en esta comunidad segun mas notorius". I morti furono "mas de viente personas muertas" e i danni vennero calcolati in più di trentamila scudi, "mas de trinta mil escudos". La Delibera dichiara la riconosciuta urgenza della costruzione di un ponte sullo stagno di Pauly Pirri passando dalla "crux de marmol"e che deve concludersi verso Pirri, "camin Real" e verso la città di Cagliari. Inoltre si propone la deviazione de Su Riu che scende da Pizu de pranu. Il Segretario dichiara che i contenuti di questa Delibera sono stati da lui illustrati "in idioma sardo" al Consiglio.

 

La maggior parte delle case furono distrutte dalla pioggia e dall'alluvione e diverse di quelle che restarono in piedi subirono tali erosioni e compromissioni che parti consistenti furono abbattute e più in la sarebbero state riedificate.

 

Le conseguenze di quella storica alluvione furono drammatiche e furono necessari molti anni per risalire la china. Sul piano del lavoro e delle attività agricole e dell'allevamento molti contadini e allevatori dovettero spostarsi in altri borghi per rifarsi un gregge, per recuperare un cavallo per i carrettieri. Oppure, come accadde per diversi contadini paulesi piccoli coltivatori che lavoravano in proprio, questi dovettero andare a lavorare altrove magari alle dipendenze come braccianti o potatori.

 

In quei tempi non esisteva ancora la stampa quotidiana che abbiamo conosciuto dalla fine dell'800 e perciò per avere notizie precise chi ha scritto e raccontato quegli eventi ha dovuto basarsi sulle ricerche d'archivio oppure sugli scritti dei "rilevatori"storici vissuti dopo quegli eventi come Vittorio Angius, nato un anno dopo quegli eventi, collaboratore del Canalis nelle rilevazioni storico e statistiche sui centri della Sardegna della prima metà dell'800, che scrisse anche di quell'alluvione confermando che vi perirono 21 persone, molti animali e che molte case crollarono.

 

Marco Sini

Una scoperta Archeologica Rivoluziona la datazione storica di Monserrato

TITOLO SEMPLICE

Altare nuragico La scoperta Archeologica casuale, avvenuta 50 anni fa dall’autore del presente articolo, nativo Monserratino, vuole segnalare l’importanza del ritrovamento del sito scoperto a suo tempo nell’intento di valorizzare Monserrato sotto il profilo storico che, data la scoperta effettuata a suo tempo e segnalata alla Soprintendenza Archeologica di Cagliari, mai pubblicata, forse per ovviare alla sistematica demolizione (vedi: Tombaroli) dell’area interessata che presume un’ampia estensione di notevole importanza, desunta dalla presenza di un’area sepolcrale a ridosso della strada romana lastricata in conci calcarei e solcata dal passaggio evidente di mezzi di trasporto su ruote che hanno inciso profondamente lo stesso lastricato; tracce così evidenti, denunciano un traffico notevole su quest’arteria, rivelando così l’importanza della zona, ed evidenziando soprattutto un insediamento molto più antico di quanto lo stesso Casalis, nella sua storia su Monserrato (Padulis – Pauli – “Palude” luogo paludoso) che lo vuole, testualmente, come una : << piccola borgata di contadini e pastori, che in seguito all’espansione demografica ed al decentramento antropico seguente alla fine delle incursioni mussulmane tra l’XI° ed il XIII° secolo, ha iniziato a popolarsi stabilmente e quindi a rappresentare una entità sociale a se stante abitata ininterrottamente, non più stagionalmente, in occasione di alcune attività agricole. >> La scoperta quindi, smentisce clamorosamente quanto affermato fin ora dal Casalis, ponendo Monserrato su un piano di tutto rispetto entro una rivalutabile cronologia che vuole assegnare agli antichi abitanti di questo luogo, il giusto riconoscimento, una storia molto più antica di quanto non si fosse supposto fin ora.La radice storica delle genti che popolavano questo sito, attestano che Monserrato preesisteva all’ epoca romana; dalle tracce di ossidiana rinvenute in superficie, quali frammenti di punte di frecce, raschietti, un asceta votiva in pietra verde, e resti di pasto i conchiglie del tipo Murex , nell’area che era situata a monte dell’attuale ubicazione, per l’ovvia considerazione che, l’immensa palude che le ha dato il nome attuale, evidentemente si estendeva, con molta probabilità, fino alla collina dove era situata allora. La dislocazione di quest’antico centro abitato posto sulla collina di “Terra teula –Tegula“, era attraversato dalla larga strada (romana) che si inerpicava sul lieve declivio, collegava tra loro gli altri centri abitati permettendo scambi commerciali ed il passaggio delle truppe romane che, da “Karalis”, controllavano tutto il territorio sotto la loro giurisdizione; Quartu, Quartucciu, Selargius e paesi limitrofi, Dolianova, Donori e Ussana, fino a Sestu altro importante centro di snodo militare e commerciale, lungo la direttiva che ramificava per l’area sulcitana con Decimomannu e Monastir che si apriva verso l’oristanese. Monserrato, forse “TEGULA” (?) nell’antica denominazione, dal nome della collina di natura argillosa quindi adatta alla fabbricazione delle tegole, che nell’area del rinvenimento si riscontrano (perlomeno allora, nel periodo della scoperta, della necropoli situata al margine della strada come costumanza romana dell’epoca), in superficie, piuttosto numerose, insieme ad alcune “sigillate”, cioè con il marchio di provenienza e fabbricazione; Embrici di copertura sepolcrale piuttosto numerosi e resti umani integri ed altri posti in giare o anfore di tipi diversi, panciute o a siluro, con evidenti resti di cremazione, denotano l’importanza del sito.Questi dati storici, gli elementi trascritti in grassetto, confermano ulteriormente quanto già riportato dal sottoscritto, in pratica, il fatto che Monserrato abbia una Storia preesistente a quella “storica” accertata dal Casalis che ci ha lasciato solo dati farneticanti.Il riferimento a “Piscina Matzeu”, quale documento inconfutabile, rivela la presenza, in zona, di una stazione stellare Megalitica, la stessa che ho rinvenuto dislocata sul declivio della collina “Cuccuru de Terra Teula” sul lato che si affaccia alla”vecchia Aia”, su un immenso pianoro intagliato a squadra e completamente lastricato da conci squadrati di calcare e basalto. Al centro dello stesso troneggiavano delle immense sfere di Arenaria. Tre sfere di misure degradanti di Mt. 1,30 di diametro la più grossa, Mt.0,90 la seconda e Mt.0,65 la terza. Intorno, seppur, sparse in maniera disordinata, almeno all’apparenza, diverse altre sfere più piccole e numerosi blocchi poligonali (quadrati) della stessa arenaria, della misura di Cm.40×40. Tale Monumento Megalitico, di cui i Monserratini conservano certamente la memoria, è testimoniato da un immagine fotografica, scattata circa trent’anni fa, ancor prima che la stessa area venisse sconvolta dall’urbanizzazione selvaggia, hanno devastato ed estirpato quelle che erano le Radici di una cultura millenaria di cui andare orgogliosi. Una simile aberrante vergogna non trova uguali, o meglio, che si annovera frequente nell’intera isola, dettata da interessi e speculazioni private a discapito della cultura storica e dell’immenso patrimonio archeologico che, come quello sardo, non trova eguali nel Mediterraneo e nel mondo.L’importanza di questo rinvenimento è per Monserrato fonte d’orgoglio, in quanto permetterà di scrivere una lunga pagina di storia antica che inorgoglisce i cittadini; oggi più che mai importante è l’obbligo di rivedere i piani di estensione urbanistica, che volgendo lo sguardo verso l’area in tema, rischia di cancellare inesorabilmente un documento storico che attesta l’importanza di questo centro, rispetto alle umili origini che le erano state attribuite a suo tempo. Monserrato ha diritto di portare in evidenza le proprie radici storico culturali che, per troppo tempo sono rimaste sepolte sotto la coltre del tempo, è dovere dell’ Amministrazione locale non trascurare un opportunità che arricchiranno la stessa, ed i cittadini tutti ringrazieranno ed elogeranno un tempestivo intervento della stessa, che si adopererà con sollecitudine dopo questa segnalazione da troppo tempo trascurata ed anzi lasciata cadere nell’oblio, per mera ignoranza, o forse per interessi privati… Sarebbe un vero peccato abbandonare un progetto di ricognizione del territorio per promuovere un saggio dell’area interessata ove far sorgere un cantiere di scavo che arricchirà Monserrato, sia sotto il profilo storico culturale, sia dando l’opportunità d’inserimento al lavoro con un simile cantiere di scavo archeologico, a molti giovani disoccupasti, che numerosi purtroppo si trovano a spasso nel “mio Paese, si !, perché sono Monserratino, e orgogliosamente mi vanto di esserlo seppur assente dalla mia città natale, che mi manca; quando sporadicamente torno a casa, vedo quanto si è estesa nonostante la riduzione dell’area territoriale molto più vasta allora, e che è stata letteralmente svenduta da Cagliari, prima che riconquistasse la meritata Autonomia. Monserrato è oramai una bella cittadina, che dal nucleo storico della mia fanciullezza, si è esteso in lungo e in largo, colmandola come un uovo; data la presenza di numerosissimi cittadini, onorari e non, che l’hanno preferita ad altri centri, contribuendo così a renderla una ridente città che vanta Poeti, Musicisti, Pittori e Scultori di fama, immersa in una miriade di attività che la rendono pregevole ed invidiata rispetto ad altre.Monserrato è un luogo di gente semplice, ma attiva, che merita il rispetto che si è conquistata con l’ingegno è l’arguzia.

 

Pier Paolo Saba

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